Venezia: un tesoro segreto e la tradizione del bòcolo

Torno a parlare di viaggi per coniugare oggi un post bifronte come il dio latino Giano, nel quale lo spunto turistico si unisce all’approfondimento di una tradizione che non credo sia molto nota al di fuori del capoluogo lagunare. Meta ideale dell’articolo è infatti Venezia, della quale desidero menzionare un monumento interessante ma poco conosciuto: la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli. Questa chiesa, situata nel sestiere di Cannaregio, è un gioiello rinascimentale noto per la sua facciata intricata e decorata con marmi policromi.

L’edificio di culto fu costruito tra il 1481 e il 1489 per commemorare un miracolo legato a un’icona della Madonna. Si dice che un pescatore avesse trovato l’immagine della Vergine fluttuante sulle acque del Canal Grande e il suo ritrovamento fu considerato – come prevedibile – un miracolo. In seguito, un gruppo di cittadini locali decise di erigere una chiesa in onore di questo evento, affidandone la progettazione agli architetti Pietro e Tullio Lombardo, che crearono una struttura rinascimentale elegante e ricca di elementi decorativi.

Superbo esempio di architettura rinascimentale veneziana, la chiesa attiva visitatori già dall’esterno grazie alla sua interessante facciata. Composta da due ordini, l’inferiore incorniciato da colonne corinzie finemente scolpite e il superiore da capitelli ionici, è sormontata da un ampio frontone semicircolare decorato da un rosone centrale, tre oculi e due cerhci marmorei, che aggiungono un ulteriore motivo ornamentale alla composizione.

La simmetria e l’eleganza della facciata riflettono l’attenzione al dettaglio e l’abilità artigianale della sua realizzazione che è resa particolare e straordinaria grazie all’uso di marmi policromi, che creano un effetto di luminoso mosaico. A completare l’insieme busti di progeti e statue di angeli a figura intera.

Esaurito con questa presentazione (che spero vi invogli a visitare la Chiesa di Santa Maria dei Miracoli se vi troverete a percorrere calli e campielli) lo spunto turistico, passo al secondo tema del post, legato ad una tradizione che ricorre proprio oggi a Venezia. In città infatti il 25 aprile non rappresenta solo il giorno della Liberazione come nel resto d’Italia ma anche la festa patronale; e nel giorno dedicato a San Marco è ancora ben viva fra i veneziani la tradizione da parte degli uomini di offrire alle donne di famiglia, in particolare fidanzate e mogli, un bocciolo di rosa rossa, detto in dialetto bòcolo.

Non è univoca la leggenda da cui si dice che derivi quest’usanza, a me raccontarono quando ero bambina la versione più accreditata e io la condivido oggi con voi.

Come nei migliori miti si parla di un’origine storica della vicenda, che nel nostro caso si situa all’epoca di Carlo Magno, precisamente durante il periodo in cui la città era retta dal Doge Orso Partecipazio. Maria, soprannominata Vulcana, bionda ed attraente figlia del doge stesso, pare che si fosse perdutamente innamorata di Tancredi, uomo del popolo che aveva il gran difetto di essere un semplice trovatore. Non sorprende dunque che il sentimento dei due giovani benché reciproco fosse ostacolato dal rigido veto del padre di Vulcana, che non avrebbe mai dato al matrimonio la sua indispensabile benedizione.

Decisa a vincere l’ostilità paterna, Maria convinse Tancredi a partire per combattere contro gli arabi in Spagna, con l’esercito di Carlo Magno, e a coprirsi di gloria. Solo così, pensava, suo padre avrebbe conquistato il favore del doge e ceduto al loro amore. Tancredi accettò il compito come nella miglior tradizione romantica e partì con le truppe reali. Valoroso e pieno d’ardore, Tancredi si distinse per il suo coraggio guerresco e presto la sua fama di combattente impavido si diffuse fino alla Serenissima.

Ma un tragico giorno, a Venezia giunsero cavalieri franchi guidati dal celebre Orlando, portatori di una terribile notizia: Tancredi era caduto a Roncisvalle, morendo tra le spine di un roseto candido che colorò con il proprio sangue. Prima di esalare l’ultimo respiro, il giovane aveva raccolto un fiore e supplicato Orlando di portarlo a Vulcana, il suo grande amore che ancora lo attendeva ignara del suo tragico destino, pronta finalmente alle nozze.

La giovane prese la rosa intrisa ancora del sangue dell’amato Tancredi, ascoltò le parole che il paladino le trasmise (le ultime parole d’amore di Tancredi per lei) e si chiuse nel suo dolore. Il giorno successivo, durante la festa di San Marco, fu rinvenuta senza vita dalla fidata nutrice, con il fiore insanguinato stretto al petto. La leggenda dice che da quel giorno il fantasma di Vulcana si aggiri ancora per Venezia, riconoscibile perché il suo unico tocco di colore è dato dalla rosa che ancora stringe al seno.

La tradizione, meno drammatica, vuole che ogni fidanzato doni alla sua amata un rosa rossa in boccio, pegno del suo amore attuale oltre che ricordo del passato (infelice) amore di Maria e Tancredi. Ed il gesto viene spesso esteso non solo all’innamorata ma anche ad ogni donna della propria famiglia, madre o sorella che sia.


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