“La bara d’argento” di Ellis Peters – Recensione

[Titolo originale: A Morbid Taste For Bones – The Cadfael Chronicles #1]

Il mio giudizio in breve:

Romanzo interessante e piacevole da leggere, delinea bene il personaggio di fratello Cadfael (della cui serie costituisce il primo capitolo). Sempre molto realistica e ben delineata l’ambientazione, presente una simpatica componente romantica, paradossalmente non sviluppatissima la parte investigativa e un po’ troppo lento il ritmo narrativo.

baraArgento

La bara d’argento“, pubblicato nel 1977 in Gran Bretagna e quattro anni dopo in Italia, è il primo della serie di gialli medievali aventi come protagonista il monaco benedettino fratello Cadfael. Nell’Inghilterra del XII secolo, per dare maggior lustro all’abbazia benedettina di Shrewsbury, il priore Robert è in cerca di qualche preziosa reliquia. La soluzione alle sue ricerche sembra presentarsi quando uno dei novizi, il giovane Colombanus, cade preda di un malessere inspiegabile simile all’epilessia ed a seguito di questi eventi fratello Jerome parla di un suo sogno, nel quale la gallese Santa Winifred chiede che le sue ossa vengano traslare a Shrewsbury. Per adempiere a questa “santa missione” da Shrewsbury partono sei monaci, fra cui fratello Cadfael in veste di interprete, diretti a Gwytherin, il piccolo borgo gallese ove riposano le spoglie della santa, dove i monaci si accorgono che il loro progetto non è accolto con entusiasmo dagli abitanti del luogo. La situazione si incupisce quando il maggior oppositore, Rhisiart, ricco possidente della zona, viene scoperto cadavere, apparentemente ucciso da una freccia scoccata a tradimento alle sue spalle.

Così inizia la prima delle venti avventure di fratello Cadfael, ex crociato divenuto monaco erborista nell’abbazia benedettina di Shrewsbury. Questo primo mistero serve dunque, in prospettiva, come un’eccellente introduzione alla figura di Cadfael se stesso, al contesto storico in cui l’autrice lo ha posto (Inghilterra e Galles medievali durante la guerra civile tra l’imperatrice Maud e re Stefano per il trono d’Inghilterra), nonché come modello narrativo generale delle successive storie scritte dalla Peters.

Prendendo quale punto di partenza un evento realistico come la traslazione delle reliquie di un santo, la Peters tesse un affresco sicuramente romanzato ma nel complesso attendibile della vita rurale e monastica medievale. Viene mostrata la quotidianità nell’abbazia, scossa quando la malattia di un confratello turba quella serena placidità e origina la spedizione in Galles. Con grande cura per i dettagli la scrittrice ritrae la vita di un monastero medievale, le tradizioni di una società lontanissima dalla nostra, le differenze (e talvolta persino le animosità) tra gallesi ed inglesi, i delicati equilibri fra il potere religioso e quello secolare.

L’ambientazione che ne risulta è tratteggiata con risultati notevoli, il che d’altra parte si riduce anche in un rallentamento abbastanza significativo nel ritmo narrativo. Fino alla morte di Rhisiart sono quasi nulli i colpi di scena, ed anche se in seguito al delitto la trama si fa più movimentata non ci troviamo di certo davanti ad un libro d’azione. Anche se l’aspetto religioso costituisce lo sfondo su cui è intessuto il romanzo, e la componente investigativa il pretesto dell’intero racconto, il vero punto di forza del romanzo risiede nella caratterizzazione dei personaggi e negli intrighi che animano il susseguirsi degli eventi.

Come accennavo il cast di personaggi composto dalla Peters è non soltanto interessante ma anche ben strutturato: nessuna delel figure principali risulta insignificante e l’autrice ha saputo alternare una caratterizzazione a grandi linee o carica di dettagli a seconda dei casi. Cadfael appare come un curioso, atipico uomo in cui i risvolti canaglieschi e più mondani (alimentati dalla sua avventurosa giovinezza) sono ora temperati dagli anni. L’irruento John, pieno di buone intenzioni, è vagamente malizioso se confrontato con il rigoroso ed ascetico Colombanus. Il priore Robert è pomposo, aristocratico ed intelligente, ma pur avendo anch’egli le sue buone qualità dalla presentazione che ne offre la scrittrice emerge soprattutto il ritratto di un uomo deciso, autoritario, che da dove vuole arrivare ed è ben deciso a non lasciarsi distrarre dai propri scopi.

A questi confratelli così diversi fra loro, la Peters affianca i gallesi: il bonario ma non certo sciocco padre Huw; il testardo ma onesto Rhisiart e la sua bellissima figlia Sioned; i due pretendenti alla mano della ragazza; gli abitanti di Gwytherin. E dopo aver predisposto questo ricco dispiegamento di attori appare quasi scontato che l’autrice li sfrutti per arricchire la vicenda principale con sotto-trame e sospetti a trecentosessanta gradi. Riusciranno i monaci benedettini a superare l’ostilità della gente del villaggio e a portare in Inghilterra con loro le preziose reliquie? Cadfael, che deve conciliare le proprie origini gallesi e l’appartenenza ad un’abbazia inglese, saprà conciliare la fedeltà ad entrambe nel tentativo di trovare l’assassino di Rhysart e garantire il successo della missione dei suoi confratelli senza tradire quelle che ritiene le giuste pretese di Gwytherin? Si coronerà l’amore di Sioned per lo sfortunato Engelard? E quale sarà il destino di fratello John?

Pur senza che si perda mai una certa lentezza nello svolgersi della narrazione, le indagini di Cadfael eliminano via via le false piste e i sospetti meno fondati fino a giungere alla verità sulla morte di Rhisiart e chiudere in questo modo anche le altre vicende collaterali. L’identità del colpevole è in effetti un po’ prevedibile, anche solo “andando per esclusione”, ma è interessante il modo in cui i personaggi giungono alle proprie conclusioni. Benché la storia sia avvolta in continui riferimenti al soprannaturale, in realtà il romanzo è soprattutto un’investigazione psicologica, ed è applicando i principi della ragione – piuttosto che la religione – che Cadfael scopre la verità.

I principali appunti che mi sento di fare a “La bara d’argento” sono due: un finale che non mi ha soddisfatta molto e una caratterizzazione un po’ troppo moderna del protagonista. Rispetto all’altro romanzo che ho letto finora della Peters, “Un cadavere di troppo” (questo il link alla recensione), seconda cronaca delle indagini di fratello Cadfael, ho notato infatti che in questo primo volume il monaco appare sin troppo moderno nel suo modo di pensare: non reputa che le reliquie siano poi molto importanti per l’abbazia, non segue sempre le regole del suo ordine, perdona facilmente che un confratello si renda conto di aver sbagliato a entrare nel monastero, biasima (almeno intimamente) il priore.

Tutti comportamenti che non sorprenderebbero in un uomo contemporaneo ma che – presi nell’insieme – fanno di questo monaco medievale una figura un po’ troppo all’avanguardia col suo tempo, una persona dalla mentalità fin troppo aperta e liberale rispetto a coloro che lo circondano. Sotto questo aspetto ho preferito il ritratto che la scrittrice ha fatto di Cadfael nel suo secondo libro, ovvero di un uomo che fa appello alla sua saggezza mondana (acquisita negli anni precedenti alla vita monastica) e alla propria comprensione del divino così come del lato umano per interagire col prossimo, ma che sostanzialmente è pur sempre un figlio della propria epoca.

Analogamente, dopo i colpi di scena (non sempre stupefacenti ma nel complesso ingegnosi) che si susseguono nella seconda metà del romanzo, la conclusione mi è parsa un po’ forzata. Fatta salva l’identità dell’assassino, il modo in cui la verità viene fatta emergere è gradevolmente ai confini fra fede e logica (anche se non molto realistico per il Medioevo), lo stratagemma ideato da fratello Cadfael per uscire dall’apparente stallo in cui la situazione finisce non del tutto in carattere con il personaggio e proprio un po’ sopra le righe.

Nell’insieme dunque il romanzo è accattivante pur senza essere un capolavoro e potrà sicuramente piacere a chi non cerca per forza storie investigative violente e piene di azione. L’impostazione è buona, anche se il ritmo un po’ troppo pacato, e benché io abbia preferito il volume successivo credo che sia utile leggere “La bara d’argento” per introdurre adeguatamente il mondo creato dalla fantasiosa penna di Ellis Peters.

Voto: gifVotoPiccolagifVotoPiccola

 


2 risposte a "“La bara d’argento” di Ellis Peters – Recensione"

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.